Ce lo suggerisce Raffaele Cantone, un magistrato di valore. Mi sento orgoglioso di essere di questa terra quando esprime personaggi di questo spessore. Condivido con voi la bella intervista di Marco Imarisio, pubblicata sabato scorso sul Corriere della Sera.
Raffaele Cantone: «Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Sul business dei rifiuti il livello di compromissione con la camorra è decisamente bipartisan”. Raffaele Cantone non si scrolla di dosso il suo passato. Neppure in Germania, dove sta tenendo un ciclo di conferenze sulla criminalità organizzata. Quando finisce di parlare e arriva il momento delle domande, ecco che tornano Sandokan, i Bidognetti, il mondo di Gomorra, fino a questi giorni, al caso Cosentino. Oggi è magistrato di Cassazione a Roma. Per anni è stato il pm più impegnato contro i casalesi. Il primo a indagare su Eco4, il consorzio divenuto celebre per aver creato una perfetta sovrapposizione tra cosa pubblica e camorra, è stato lui. La situazione è davvero così deprimente? «Nulla di cui sorprendersi. In una realtà come il Sud il binomio affari-politica si è trasformato in un puro meccanismo clientelare». Sta dicendo che Eco4 non rappresenta un caso limite? «Le società a capitale misto pubblico-privato in alcuni casi sono state un successo. Penso a Milano, a Brescia». Altrove, al Nord, non è che sia un trionfo. «Certo, possono essere usate per creare consenso, più o meno lecito. Ma al Sud…» Al Sud? «Diventano l’isola del tesoro per una imprenditoria e una pubblica amministrazione sempre più colluse con la criminalità organizzata. La realtà è sotto gli occhi di tutti». Allegria. «Eco4 è una storia emblematica. Nasce con un bando di appalto che è un vestito su misura per il vincitore, già individuato».Il momento fondamentale è questo? «Certo. L’azienda, legata alla camorra, viene resa più forte dall’appalto. Il resto lo leggiamo in questi giorni. E’ accaduto con i rifiuti, perché l’emergenza ha portato fiumi di denaro. Ma può avvenire in ogni altro settore». Soluzioni? «La scelta del partner privato deve essere trasparente». Ormai è un tormentone. «La scelta non deve essere fatta dagli enti locali che gestiscono il territorio». Facile a dirsi. «Si può anche fare. Va dato atto a Roberto Maroni, l’attuale ministro dell’Interno, di aver capito che lo snodo più importante è questo: si deve trovare il modo di sganciare la politica dagli affari». E come? «Con la Stazione Unica Appaltante. La stanno sperimentando in Sicilia e
Calabria, presto anche a Caserta. L’appalto è gestito da una commissione di tecnici incaricati dalla Prefettura. E dopo l’assegnazione, lo segue, controlla che i sub appalti non siano inutili o sospetti. Può funzionare». Anche in presenza di una Pubblica amministrazione che (in alcuni casi) neanche in Uganda? «Lo stato attuale della Pubblica amministrazione è la conseguenza dell’eliminazione di ogni meccanismo di controllo interno». Non arriverà a rimpiangere i vecchi Comitati regionali di controllo. «No. Funzionavano male. Ma la riforma Bassanini li ha eliminati, senza sostituirli con altri meccanismi di controllo preventivo». Le conseguenze? «Negli ultimi anni il deterioramento della PA sembra inarrestabile. Gli uffici dei Comuni sono ormai centri di potere senza alcun controllo». Ogni tanto ci pensa la magistratura. «Ma l’intervento penale richiede i suoi tempi. Prenda Eco4: un consorzio che dal 2004 ha cessato di esistere. Il controllo preventivo è la chiave di tutto».
Non è troppo tardi? «Per il passato è sempre tardi. Ma noi siamo obbligati a pensare al futuro».