L’indifferenza verso il disagio dei disabili…

30 dicembre 2009

Non riesce a fare il biglietto, viene costretto a scendere dalla polizia ferroviaria.

La storia che segue mi ha rattristato molto perchè dimostra il grado di burocratizzazione e di indifferenza dei giovani italiani in carriera, persone senza cuore e sentimenti che per di più non conoscono nemmeno le norme giuridiche del nostro Paese oltre che gli universali valori sanciti nella nostra Carta Costituzionale:  che tristezza sentire di queste storie, soprattutto quando riguardano giovani generazioni italiane. In Italia a qualcuno importa dei disagi dei portatori di handicap o sono un problema archiviato dalla stringente crisi economica??? Quando il mio Paese reagirà all’ondata d’indifferenza che ci attraversa disumanamente e travolge anche i valori più scontati??? In bocca al lupo Italia e soprattutto che si risveglino le nostre coscienze! Che il 2010 sia un anno buono davvero…

Ecco la lettera di SHULIM VOGELMANN

CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma (…) C’è anche un ragazzo senza braccia. Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. (…) Avrà massimo trent’anni. Si parte. Poco prima della stazione di (…) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: “No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap”. Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l’umiliazione ripete “Handicap, handicap”.I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po’ più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c’entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia “deposizione”, il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. “Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?” chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: “C’è l’assistenza”. “Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service” ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l’andata l’Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. “E lo sa perché?” ho concluso. “Perché quelle persone le braccia ce l’avevano…”.

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l’evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: “Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!”. E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (…). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell’espressione del viso o nell’incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: “Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare”. Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l’impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. “Perché mi hai offesa”. “Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?” le domando sempre più incredulo. Risposta: “Mi hai detto che sono maleducata”. Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (…). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.
L’autore è scrittore ed editore

Io non ci vedo chiaro….

29 dicembre 2009

La classe politica (a destra come a sinistra) che affronta la spinosa questione rifiuti in Campania (e nello specifico nelle delicate province di Napoli e Caserta) mi pare esser la stessa da molti anni a questa parte. Credo che abbia deciso di  comune accordo di “provincializzare” il ciclo dei rifiuti per rendere la gestione dello stesso più efficiente e proficua: ebbene ho i miei dubbi su tale intenzione perchè sono convinto che i problemi sul campo resteranno- anche in futuro – sempre gli stessi. E soprattutto credo che la classe politica campana (e in particolare quei pochi che tra Napoli, Caserta e Roma prendono queste decisioni sulla testa di tutti) non abbia nessuna intenzione di amministrare le nostre comunità così come si dovrebbe fare nel 2010 in un Paese moderno. Basta osservare nell’articolo di Daniela De Crescenzo (pubblicato oggi 29 dicembre 09, Il Mattino) che segue che i nodi aperti con l’emergenza rifiuti sono ancora incomprensibilmente aperti e soprattutto notare l’enorme esborso di denaro pubblico come regola insuperabile!!! ——————-Rifiuti, nasce la società della Provincia di Napoli————————————————————–

Si chiamerà Sap.Na (servizi ambientali provincia di Napoli) la società creata dall’ amministrazione provinciale per gestire dal primo gennaio11 ciclo dei rifiuti e sarà probabilmente amministrata dall’ex commissario Corrado Catenacci. Il decreto approvato dal governo il 17 dicembre e non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale prevede, infatti, in accordo con il piano regionale, che siano le Province a organizzare, attraverso proprie società, lo smaltimento della spazzatura e il funzionamento degli impianti. Oggi i tecnici di Bertolaso incontreranno i rappresentanti della Regione e delle Province per organizzare ilpassaggio di consegne. Ci saranno Ire vertici: il primo sulla gestione degli impianti ditritovagliatura, il secondo sulla situazione economica e 11 terzo sui modi e sui tmpi delpassaggio di consegne. il primo nodo da sciogliere è ovviamente quello economico. I comuni, in- fatti, dovranno trasferire entro trenta giorni alle Province tutti gli archivi della Tarsu e della Tia in maniera da permetterne la riscossione e l’elenco delle utenze del gas, della luce e dell’acqua per perseguire gli eventuali evasori. Un’operazione non semplice. Ma intanto toccherà alle Province pagare gli stipendi dei dipendenti e trovare le risorse neces sane nell’immediato non sarà facile. Per non parlare del problema dell’Asìa: la società a totale capitale pubblico vive grazieal trasferimento mensile di 17 milioni di euro da parte del Comune con i quali paga 3mila dipendenti. Ora dovrà pensarcilaProvinciachedalprimo gennaio verserà i soldi nelle casse della società comunale. E dovrà farlo ancor prima di aver incassato una lira di tasse basandosi solo sulla prevista anticipazione del governo di un euro e mezzo per ogni contribuente. L’altro grosso problema sul tappeto è quello dei dipendenti dei consorzi di bacino: secondo i primi screening ira Napoli e Caserta ci sarebbero cinquecento esuberi che andranno in qualche modo gestiti. E proprio su questo punto il decreto è stato pi volte rimaneggiato. In una prima ipotesi si era pensato di dirottare i lavoratori sugli enti locali concedendo una proroga al patto di stabilità, ma l’idea è poi naufragata. Tutti i dipendenti passeranno quindi alle società provinciali che dovranno poi eventualmente organizzare le liste di mobilità dopo aver varato il piano industriale. Un compito ingrato. L’altro nodo sono le società provinciali stesse: quelle di Caserta, Avellino e Napoli sono state costituite in extremis. Le altre non sono ancora decollate. La Sap.Na avrà un capitale sociale di 500mila euro e avrà sede in città. La Provincia spiega di aver cominciato a lavorare inviando una richiesta di dati atutti i soggetti coinvolti nel ciclo integrat dei rifiuti. In attesa delle risposte ha organizzato le procedure per conferire incarichi per le attivi- tà giuridico-aziendali e tecnico-scientifiche interfacciandosi con il consorzio A.M.R.A. al quale, spiega il presidente Luigi Cesaro, «afferiscono eccellenze nel campo della ricerca in Campania». 11 tutto in collaborazione con il dipartimento per le tecnologie dell’Università degli studi diNapoliParthenope. «Ci siamo mossi nei tempi imposti dalla normativa e in maniera proficua – dice Cesaro – pur tenendo conto dell’estensione del territorio provinciale e del cospicuo numero di abitanti coinvolti». «Un euro e mezzo per ogni cittadino non basteranno certamente ad attivare questa macchina – sostiene l’ex vicepresidente della commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti e attuale consigliere provinciale, Tommaso Sodano – mi auguro che le Province facciano fronte comune per chiedere modifiche al decreto, senza deroghe al patto di stabilità la situazione sarà ingestibile»

Rifiuti, non si abbandona la vecchia strada

21 dicembre 2009

La bravissima Rosaria Capacchione ci ricorda con la sua proverbiale precisione che le ditte del sistema raccolta e smaltimento rifiuti campano si rinnovano ma i personaggi che le gestiscono sono quelli vecchi legati alla camorra: la mano della camorra è ancora sui rifiuti campani ed i miei occhi invece sono al fianco di quelli di Rosaria nella denuncia di questi fatti gravissimi… e la politica dove volge la propria testa??? Rifiuti, si riparte con ditte nuove e nomi vecchi (di Rosaria Capacchione da il Mattino- 21-12-09)

Una parentesi durata quindici anni. Non la esclusiva gestione dell’emergenza ma la strutturata amministrazione di un settore che, nei suoi aspetti criminali, ha fruttato alle regioni del Sud oltre 18 miliardi di euro l’anno. Tra dieci giorni si volta pagina, si chiude il ciclo straordinario iniziato a febbraio del 1994 con la nascita dei consorzi intercomunali di bacino e si passa, per decreto, alla gestione ordinaria di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti. Ma tra l’una e l’altra fase c’è un elemento di continuità. Lo evidenzia l’informativa preliminare sulla quale sta lavorando il pm antimafia Antonello Ardituro in collaborazione con il collega Alessandro Milita, titolare dell’inchiesta sulla gestione del consorzio Ce4 nella quale è indagato il sottosegretario Nicola Cosentino. La continuità è data dal ricorrere di alcuni nomi che sono stati, in passato, l’interfaccia burocratica delle imprese che hanno curato la raccolta dell’immondizia e il trasporto dei rifiuti a discarica: manager, consulenti, dirigenti. Il sospetto, alimentato anche dalle denunce dei sindaci della provincia di Caserta inseriti nella lista nera del sottosegretario Guido Bertolaso, è che sotto traccia stiano lavorando, o siano pronte per rientrare nel circuito dello smaltimento dei rifiuti, le stesse ditte che avevano operato con i consorzi intercomunali. Ditte i cui titolari sono stati oggetto di indagini antimafia. Se la Ecoquattro dei fratelli Orsi non esiste più, cancellata dall’omicidio di Michele e dall’arresto del fratello Ser-
gio, qualcosa invece potrebbe essere sopravvissuto della Ecocampania di Nicola Ferraro, consigliere regionale dell’Udeur, coinvolto nelle due inchieste sul sistema-Mastella, che avrebbe conservato la capacità industriale di gestire il settore.
All’attenzione della Dígos della questura di Caserta c’è l’elenco dei dipendenti del Consorzio unico Napoli-Caserta che, con la fine dell’emergenza, dovrebbero essere assorbiti dalle società provinciali o essere messi in mobilità. Quell’elenco è anche uno degli elementi di maggiore interesse investigativo. La storia giudiziaria degli anni passati ha dimostrato, infatti, che di travaso in travaso dalle società comunali a quelle di bacino, o con i passaggi di cantiere delle ditte incaricate della raccolta dei rifiuti, negli organici degli enti pubblici erano stati assorbiti anche elementi contigui alla camorra. Giacomo Fragnoli, per esempio, figlio di un elemento di spicco del clan La Torre di Mondragone, era capo del personale di Ecoquattro; Carmine Pollio, affiliato allo stesso clan, faceva il netturbino. Nel libro paga anche elementi di maggior peso criminale, come ad esempio Luigi Guida, reggente del clan Bidognetti.
In primo piano la posizione di Antonio Scialdone, 39 anni, di Vitulazio, attuale direttore generale del Consorzio unico. È stato, negli anni scorsi, funzionario-consulente della Recam e dirigente del consorzio Acsa Ce3, che ha curato tra le altre cose la pratica Lo Uttaro, a Caserta. È indagato in due differenti procedimenti della Dda di Napoli. È stato, dieci anni fa, anche il «socio giovane» di Nicola Ferraro. La sua presenza in ditta avrebbe dovuto pareggiare i conti tra Ecocampania ed Ecoquattro nella gara per l’aggiudicazione dell’appalto con il consorzio Ce4, dove il requisito principale era appunto la giovane età di almeno uno dei soci. Il suo nome compare nell’ordinanza del gip di Napoli, Raffaele Piccirillo, con la quale aveva chiesto al parlamento l’autorizzazione all’arresto del sottosegretario Nicola Cosentino. Di Scialdone avevano parlato i fratelli Michele e Sergio Orsi, l’ex presidente del consorzio Ce4 Giuseppe Valente e lo stesso Nicola Ferraro, interrogati dal pm Alessandro Milita. Racconta Ferraro: «Alla fine del ‘99, attraverso un comune amico, il dr. Antonio Scialdone, gli Orsi mi chiesero un incontro (…); in quel periodo era amministratore di una società denominata Trea Sud che io stesso avevo costituito». Alla gara per la società mista (che fu poi aggiudicata ai fratelli Orsi) Nicola Ferraro partecipò con l’Ati Ecocampania-Trea Sud, che gli garantiva il requisito della imprenditorialità giovanile attraverso Scialdone, che aveva da poco compiuto 29 anni.
Antonio Scialdone, al quale il 28 luglio scorso la Guardia di Finanza di Marcianise ha sequestro alcuni beni nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti tra la Recam e le societa del settore dei rifiuti che facevano riferimento al clan Belforte di Marcianise, risulta coinvolto anche nel procedimento a carico del boss di Recale, Antimo Perreca, nell’ambito del quale la Dda di Napoli ha chiesto l’archiviazione per l’eurodeputato Crescenzio Rivellini. Scialdone risultava essere l’intermediario tra Perreca, i politici che dovevano garantire gli appalti alla Recam e imprenditori che dovevano finanziare l’impresa nella quale il funzionario aveva ritagliato anche una parte per se stesso attraverso una società nella quale non compariva, però, formalmente. Per far partire l’affare era stato necessario ungere gli ingranaggi politici con una tangente di 400mila euro e con un’auto, che risulta essere stata ritirata proprio da Scialdone. Le dichiarazioni dell’imprenditore Pietro Amodio, ora collaboratore di giustizia, ex titolare di un autosalone al quale era interessato anche Nicola Schiavone (figlio del capo del clan dei Casalesi), non sono state riscontrate. Dovranno essere valutate dal gip del tribunale di Napoli nelle prossime settimane.

Niente nucleare: è tempo di green economy

14 dicembre 2009

Sono decisamente contro il nucleare anche di cosiddetta quarta generazione. In tutto il mondo si inaugura il ciclo della green economy e delle fonti rinnovabili e qua in Italia pensiamo ancora agli impianti nucleari trascurando che per realizzarli ci vogliono 15 anni e ignorando la questione dello smaltimento delle scorie nucleari. Concordo con il premio Nobel Rubbia secondo il quale il nostro futuro energetico (come lui sta testimoniando concretamente in Spagna) sarà rappresentato dal solare termodinamico: il centro-destra capirà mai questa semplice verità? E la classe politica campana che ne pensa? Persino il Pd ha le idee confuse.

Parlano nell’articolo di Fabrizio Geremicca- “Ritorno al nucleare, la Campania si divide”. Corriere del Mezzogiorno, domenica 13 dicembre – e io vi invito a verificare cosa ne pensano. Ecco l’articolo:

Entro luglio 2010 la pubblicazio­ne dei criteri tecnico ambientali ai quali ci si dovrà attenere nella realizzazione delle centra­li. Entro il successivo 10 ottobre la selezione dei siti. Il 9 luglio 2015 avvio dei lavori per il primo impianto, che entrerà in funzione nel 2020. E’ questo, in estrema sintesi, il calenda­rio del ritorno al nucleare programmato dal governo. Se fosse un film, potrebbe avere due titoli diversi. I favorevoli sceglierebbero: Un tram che si chiama desiderio . I contrari: Il ri­torno dei morti viventi.

Già, perché il nucleare divide ancora l’Italia. E la Campania non fa eccezione, tanto più che il nostro territorio ha già conosciuto l’impian­to del Garigliano, a Sessa Aurunca. Quell’area, secondo il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, sa­rebbe ancora fra le papabili per la nuova sta­gione dell’atomo. Ipotesi, peraltro, smentita dall’Enel.

Garigliano o meno, il dibattito s’infiamma. E se la Regione, attraverso l’assessore all’Am­biente Walter Ganapini si dichiara contraria al revival nucleare, il sindacato si spacca. Miche­le Gravano, segretario Cgil Campania: «Sarei il primo a mettermi alla testa della protesta. Do­vrebbero passare con i carri armati». Lina Luc­ci, che guida la Cisl: «Non sono pregiudizial­mente contraria al nucleare e non capisco chi ne fa una questione di vita o di morte». Nuclea­risti convinti Giorgio Fiore e Gianni Lettieri, leader di Confindustria Campania e Napoli: «Fermo restando la necessità di tempi celeri e della massima sicurezza, non dobbiamo perde­re l’occasione del nucleare: l’energia oggi co­sta moltissimo. Soprattutto al Sud». Tommaso Sodano (Prc), ex presidente della commissio­ne Ambiente del Senato, spiega le ragioni del no: «Il problema delle scorie, alcune delle qua­li restano radioattive per millenni, è irrisolto». Dice sì al nucleare il senatore del Pdl, Pa­squale Giuliano: «Siamo circondati dalle cen­trali degli altri paesi e abbiamo rinunciato a produrre energia con l’atomo». Un po’ meno convonto, Giuliano, dell’eventuale (seconda) scelta del Garigliano: «Sono stati già spesi mol­ti soldi per smantellare la centrale». Il collega Paolo Russo, invece, si dichiara nuclearista a tutto tondo. Passando al centrosinistra Enzo Amendola, segretario regionale del Pd, afferma: «In que­sto momento è meglio puntare sulle fonti al­ternative, come stanno facendo altri paesi in­dustrializzati ». Di contro l’ex ministro Luigi Ni­colais, sempre del Pd, che è anche docente di Tecnologie dei materiali alla Federico II, chio­sa: «Ok al ritorno al nucleare, purché di quarta generazione».

Il pastore che si fece giurista

10 dicembre 2009
Il mio amico deputato on.le Giulio Calvisi mi ha fatto conoscere questa bella storia – pubblicata sulle pagine dell’Unione Sarda- che viene dalla Sardegna e pertanto l’ho pubblicata per sottolineare che in Italia ci possono esser tante straordinarie storie come questa! ———————–

La storia di Giuseppe Bandinu, ex pastore di Bitti, ha dell’incredibile. A 23 anni ha lasciato il gregge per riprendere a studiare. Oggi è un criminologo, consulente del Ministero di Giustizia.  Dieci anni di pastorizia ti possono portare molto lontano: dagli altopiani di Bitti a un tavolo della Commissione Europea a Parigi, per discutere di legislazione penitenziaria. Questa è la storia di Giuseppe Bandinu, classe 1962, nato in una famiglia di pastori del centro barbaricino che all’età di 14 anni, una volta superato l’esame di licenza media, ha deciso di non proseguire gli studi per andare a lavorare in campagna, insieme al padre e a due fratelli maggiori. A 23 anni però decide di rivoluzionare completamente la sua vita e seguendo una passione per il sapere, vende le greggi tornando sui banchi di scuola.
Si trasferisce a Roma dove, raggiunta la maturità scientifica in due anni, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza”. Già un anno prima della discussione della tesi di laurea, dedicata all’analisi del fenomeno del banditismo sardo, inizia a collaborare come assistente della cattedra di Criminologia di cui diventa poi borsista, prima a Giurisprudenza e poi a Psicologia. Contemporaneamente segue la pratica da avvocato in uno studio legale della Capitale, si specializza in diritto penale e criminologia, supera da secondo classificato l’esame da criminologo clinico presso il ministero di Grazia e Giustizia e, insieme ad altri studiosi, contribuisce ai lavori per la riapertura dello storico Museo criminologico di Roma.
La corsa di Bandinu sembra ormai inarrestabile e fra un impegno e l’altro trova sempre il tempo per rientrare a Bitti, dove oltre ai familiari ha ancora tanti amici, soprattutto d’infanzia. Nel 1999, comunque, superato l’esame da avvocato al primo tentativo, viene nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) giudice onorario di sorveglianza presso il Tribunale di sorveglianza di Roma, mentre quattro anni dopo il Consiglio della magistratura militare lo nomina giudice onorario presso il Tribunale di sorveglianza militare, che ha competenza su tutto il territorio nazionale e anche fuori se si pensa ai militari impegnati all’estero.  Nel 2002 è fra gli autori del Manuale di criminologia in uso nell’Università di Roma. Ripresi in mano i libri, consegue la seconda laurea nel 2006 in Lettere e Filosofia, con una tesi sull’impero Ottomano, presso la cattedra di Storia dell’Europa orientale dell’Università di Roma. Infine, pochi mesi fa, viene scelto dal ministero di Giustizia, insieme ad altri due giudici e a un professore universitario di Criminologia, per rappresentare l’Italia presso la Commissione europea che ha dato il via all’elaborazione di un Progetto di armonizzazione della legislazione penitenziaria dei Paesi membri. I lavori, organizzati in sottogruppi in cui sono stati suddivisi i 27 Stati dell’Unione, sono iniziati alla fine di novembre. Nella capitale francese si sono confrontate, in una tre giorni di conferenze, le delegazioni di Francia, Italia, Spagna e Bulgaria. Qualche giorno fa, ancora fresco dal viaggio parigino, Bandinu era nel suo studio del quartiere Farnesina a Roma, dove esercita la professione di avvocato civilista. Impeccabile parlata bittese, ha iniziato subito a raccontare, con singolare umiltà ed eguale passione, del suo ultimo incarico e dei risultati portati a casa dalla Francia. Il passato da uomo di campagna, perfezionato dagli studi sulle opere di due intellettuali del ‘900 sardo come Antonio Pigliaru e Michelangelo Pira, è venuto a galla quasi subito quando ci ha spiegato come i codici della società barbaricina possono essere riadattati al mondo di oggi. «Durante la mia conferenza ho spiegato come la cultura della mediazione penale, che affonda le proprie radici nelle culture pre-industriali, può essere paragonata alla figura dei mediatori nella società barbaricina. Sos prob’homines (i mediatori) nei nostri paesi mediavano nelle dispute e sugli eventuali conflitti in maniera preventiva oppure si attivavano per raggiungere le pacificazioni ( sas paches )».
Il paragone presentato da Bandinu ha colpito la platea di studiosi che «non sapevano di come, fino a circa 50 anni fa nel cuore della Sardegna, certe modalità di componimento bonario dei conflitti venissero ancora regolate da queste figure». Gli torna in mente il suo passato di allevatore: «Ricordo che per la prima volta nel 1983, insieme a tanti altri pastori del paese e con il sostegno di tutta la comunità, occupammo per 15 giorni il Comune di Bitti e lo stesso fecero altri 21 centri del nuorese per protestare contro gli industriali del latte che, unilateralmente nel giro di poche settimane, avevano abbassato il prezzo del prodotto da 1150 lire a 1050. Alla fine fu una lotta vincente perché per la prima volta i pastori si organizzarono politicamente superando lo storico individualismo che li caratterizzava».
Storie di ieri viste con gli occhi di oggi che mettono in luce il forte attaccamento che ancora lega Bandinu alle sue origini. Gianfranco Brundu lo conosce da quando erano bambini e andavano a scuola insieme, poi si sono trovati fianco a fianco da pastori in erba e oggi continuano a considerarsi grandi amici. «Anche se è andato a studiare è rimasta la persona di sempre – ha detto Brundu – ci puoi parlare di qualunque cosa perché sa ascoltare e non ti fa pesare il fatto che non puoi conoscere certe cose. Non ho mai dubitato che le sue capacità, unite al suo carattere umile, un giorno lo avrebbero portato a raggiungere risultati così importanti».
Questione di spirito e di tenacia che Bandinu sintetizza così: «La scuola impropria della campagna non mi ha insegnato solo a saper mungere o fare il formaggio, ma mi ha dato le basi per affrontare la vita con la sobrietà che gli spetta. Posso dire che con eguale serietà ho accudito il bestiame, ho studiato per l’esame di procedura penale e oggi partecipo al progetto della Commissione europea. Questo è ciò che porto con me dopo 10 anni di pastorizia.

Vado al No Berlusconi-Day…

4 dicembre 2009

Ritengo importante la presenza alla manifestazione nazionale di domani a Roma promossa dal mondo dei bloggers italiani per protestare contro le politiche del Governo Berlusconi e soprattutto contro le idee pericolose del Premier in merito a possibili ulteriori bavagli per la magistratura italiana. La crisi socio-economica morde davvero tanto ed il nostro Governo si occupa dei processi del Premier dimenticando di affrontare i nodi veri delle difficoltà quotidiane degli italani: 1) moltissime imprese che ricorrono alla cassa integrazione oltre l’ordinario;2) tassi di disoccupazione alle stelle; 3) tassazione elevata per le piccole e medie imprese; 4) sprechi enormi di denaro pubblico per interventi pubblici inutili; 5) aree del Paese completamente nelle mani della criminalità organizzata nostrana. Taccio delle vicende personali del Premier e dei mille scandali e con forte senso di responsabilità riconosco al Governo di centrodestra di aver ricevuto una larga legittimazione democratica col voto politico del 2008, ma adesso è arrivata l’ora di dare risposte concrete agli italiani e di porre fine ad uno scontro tra organi costituzionali mai visto prima! Caro Premier, accetta di stare in un Paese democratico dove per portare avanti le necessarie riforme c’è bisogno di passare al vaglio del Parlamento che non può sempre e solo superarsi attraverso la pratica forzosa del decreto legge con riconversione+questione di fiducia : dunque ci sono molte ragioni per manifestare pacificamente e liberamente il nostro dissenso domani in Piazza per pretendere un Paese meno cupo e più rivolto verso le innovazioni ed il futuro!

L’appuntamento è per domani, sabato 5 Dicembre, in Piazza della Repubblica ROMA – alle 13.30 – davanti alla chiesa di Santa Maria degli Angeli.

Beni confiscati…non aprite quella porta

1 dicembre 2009

Una porta in mezzo e l’appartamento così è diviso quasi a metà. Il tinello e la cucina sono stati confiscati, l’altra parte è ancora abitata dalla moglie del boss D’Alessandro. Succede a Castellammare, ma è solo una delle tante storie dei beni confiscati ai clan non ancora destinati a fini sociali e che rischiano di tornare in mano alle organizzazioni criminali. I cittadini dovranno dire addio ai sogni di vederli trasformati in ludoteche, scuole e centri sociali perché se passa anche alla Camera l’emendamento alla Finanziaria, ai vecchi proprietari basterà comprarli. E Libera, l’associazione contro le mafie, dopo averli messi simbolicamente all’asta, promuove una petizione contro il provvedimento che prevede la vendita dei beni immobili confiscati. Dal Consorzio Sole – che gestisce i beni conferiti da decine di Comuni – raccontano di iter fermi a metà o mai avviati, oppure aggravati da casi di comproprietà e ipoteche. A Castellammare rischia di essere rioccupato interamente dalla famiglia del boss D’Alessandro l’appartamento diviso a metà. Mentre nello stesso stabile il piano superiore, già confiscato, resta off limits perché i vecchi proprietari hanno cambiato la serratura. A giorni le forze dell’ordine dovranno procedere con la forza per lo sgombero. Anche ad Ercolano una casa è confiscata solo al 70%, l’altra parte è ancora in gestione al Demanio. Iter ancora a zero a Marano, dove potrebbe essere venduta una villa con tavernetta e giardino, valore un milione e mezzo, confiscata al boss Giuseppe Polverino, legato ai Nuvoletta. A Pollena Trocchia, si pone il caso di un condominio di cento appartamenti, intestato ai fratelli Terracciano. Cinquanta sono stati confiscati perché di proprietà di un criminale, cinquanta sono intestati al fratello incensurato, il quale ne conserva tuttora la proprietà e li dà in affitto. A Giugliano ci sono 22 beni che rischiano di essere messi all’asta. Esempio di iter andato a buon fine il parco intitolato ad Antonio Ammaturo, il commissario ucciso nell’82. Qui ci sono già il Comando delle fiamme gialle e un centro polifunzionale. In corsa contro il tempo anche a Caivano, Villaricca, Quarto, Sant’Antimo e in tanti comuni del Casertano. Dopo la manifestazione nazionale di Roma, la mobilitazione di Libera prosegue a Napoli con la raccolta di firme. Bisogna partecipare!

Il futuro che non c’è. Lettera di un padre

1 dicembre 2009

Questa lettera di un padre italiano a suo figlio, meritevole ma senza un futuro, mi ha davvero colpito e commosso perciò la pubblico… (fonte Face book – gruppo live aid antimafie- di Gildo De Stefano)

Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.
Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l’idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all’attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E’ anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l’Alitalia non si metta in testa di fare l’azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell’orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d’altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l’unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po’, non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato – per ragioni intuibili – con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all’infinito, annoiandoti e deprimendomi.
Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell’estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita
. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.
Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre

 

Viviamo nella società dell’infelicità

30 novembre 2009

Niente di nuovo sotto al sole… Un altro weekend è passato, un altro mese sta per scivolare via e anche il 2009 volge al termine, mentre Napoli e la sua provincia continuano la loro vita, sempre con gli stessi storici problemi ai quali si aggiungono i nuovi. Non si vive bene nei quartieri, dove sottosviluppo e forte disoccupazione, assieme ai servizi pubblici scadenti e all’alta tassazione di ogni genere,  ci avviliscono e preoccupano. Senza contare la presenza percepibile della camorra e della sua cultura! Inutile nascondercelo: ormai siamo costretti a pensare come criminali pur di sopravvivere. Allora, in qesto contesto sempre più difficile, io mi chiedo chi sarà chiamato a mutare la rotta e a metter mano al cambiamento? Non siamo lontani dalle prossime scadenze elettorali, dopotutto. Chi, allora? Politici anziani e sclerotizzati da logiche di potere di piccolo cabotaggio? Oppure burocrati infedeli a cinque stelle ? Una provocazione: le soluzioni vanno ormai affidate ai capi del crimine orgnanizzato? Si dovrà pure cominciare da qualche parte oppure dobbiamo solo rassegnarci perchè questa è la sorte che spetta a Napoli ed alla sua sterminata provincia? Penso che la gente sia sempre più insoddisfatta e stanca di vivere la società dell’infelicità e che siamo di fronte al “golpe degli anziani di potere” che non intendono abbandonare la propria poltrona per sporcarsi con i problemi reali di tutti i giorni, tali cose non appartegono più all’uomo politico ed al suo stile di vita! Appunto, qual’è oggi in Campania il ruolo e la funzione di un uomo politico? Ce lo chiediamo mai a cosa serva- cioè quanto sia utile per noi cittadini-  un politico campano? Molti a queste mie domande provocatorie darebbero risposte che per responsabilità non possiamo riportare per iscritto, ma è chiaro il senso di una tale risposta: signori è ora di riflettere e di rimettersi in discussione attraverso un passaggio democratico! Sono convinto che nella nostra democrazia, persino qui a Napoli ed in provincia, dobbiamo riappropriarci della nostra capacità di incidere sul nostro futuro e sul nostro benessere mettendo  “fuori gioco” quelli che ogni giorno non tutelano il nostro diritto ad una società della felicità!

Rilancio economico, le osservazioni di Draghi

27 novembre 2009

Oggi ho trovato molto interessanti le dichiarazioni raccolte da Rosanna Lampugnani, de il Corriere del Mezzogiorno, dal governatore della Banca d’Italia Draghi, che boccia la Banca di Tremonti Bassolino. Illuminanti le recenti osservazioni del Governatore della Banca d’Italia Draghi in tema di sviluppo del Mezzogiorno: la sua analisi sulle ragioni fondamentali dell’arretramento delle regioni del Sud sono più che condivisibili, dissento invece dalla soluzione indicata, ossia dal fatto che soltanto un intervento nazionale in termini di politiche generali possa invertire la tendenza negativa nelle nostre terre. Penso che in vista del federalismo fiscale, le Regioni meridionali possano trovare da sole senza accompagnamenti la via maestra per il proprio rilancio socio-economico, ovviamente tutto ciò passa per un lento processo di responsabilizzazione della classe dirigente medionale (politica e sindacati, imprenditoria piccola e media, banche e professioni, etc.):  se questi mondi nel Sud non si siederanno con spirito nuovo attorno ad un  “tavolo propositivo” per prender atto dello sfascio di questi anni non si darà davvero inizio ad una stagione di svolta e sviluppo in un contesto globale ed interconnesso come quello della società del terzo millennio!